TIBET

Un viaggio sul Tetto del Mondo  ai confini dell’Uomo

documentato dal dolceacquino Eugenio Andrighetto

è in proiezione dal 18 dicembre 2004 al Visionarium 3d di Dolceacqua

 di Cinzia Scarpini  

TIBET: parola magica ed evocatrice che definisce oggi il piú elevato altopiano del mondo a 5000 metri sul livello del mare e da esso sorto 40 milioni di anni fa assieme alla catena dell’Himalaya, che lo chiude a sud, ai confini col Nepal. Quasi un milione e mezzo di Km quadrati e … meno di 1 abitante per Km quadrato! Un territorio sconfinato, costellato di laghi salmastri dove la temperatura anche in estate raramente supera i 10 gradi.

Ma un territorio ricco di tradizioni millenarie: dagli imperatori tibetani che oltre mille anni fa conquistarono i territori di arabi, turchi, mongoli e cinesi, al  Buddhismo che  si diffuse alla fine dell’Impero e instaurò una lunga epoca di pace, l’epoca dei Dalai Lama. Ad essa pose fine, intorno al 1950, l’invasione dell’esercito della Repubblica Popolare Cinese, un popolo diverso per etnia e tradizioni che costrinse il Dalai Lama, assieme ad altri 100 mila tibetani, all’esilio, instaurando un’epoca di dure e talvolta sanguinose repressioni… 

Il documentario di Eugenio Andrighetto vuole essere viaggio, scoperta, avventura,  Una poesia per immagini che richiamano grandi immensità, silenzi e spazi infiniti sul Tetto del Mondo. Un viaggio che racconta di strade sconnesse e piste polverose che portano al cielo, di genti, di luoghi, …di templi, tra fiori di pietra e  città di fango, tra  sete di immenso e di assoluto.

Un viaggio tra Genti colorate, diverse e mescolate, accomunate da una meta, da una vita, da una preghiera, o solo dal vento.

I bimbi, cogli occhi vispi, sono i segni di un microcosmo sorridente, con le loro faccette brune e l’eterno moccolo al naso. …”School pen, school pen!” ti gridano addosso, pur di avere da te turista quel magico regalo. I piccolissimi portano brache aperte dietro, comodi  pannolini di un popolo senza risorse.

I giovani hanno negli occhi l’aria frizzante dell’Himalaya, le facce un po’ sporche, scarpette di gomma e tela ai piedi anche ad alta quota, e sempre indossano un semplice sorriso e un cappello da grandi. Le giovanette hanno volti selvaggi, la capigliatura irta e incolta come capre: figlie già madri che portano in grembo piccole creature,  figli o fratelli, chissà...

Gli uomini, sherpa, portatori, conduttori di yak, grandi vecchi: pelli scure da cui si stagliano  bianchi sorrisi, uomini e donne dall’aspetto tranquillo e serafico, che portano sul volto i segni del tempo, del vento, del sole, di migliaia di tè con burro di yak e sale bevuti al sole del tramonto.

Le loro rughe sembrano scavate dalle fredde acque di nevi perenni.

E poi i pellegrini, mossi da una fede potente, che sporchi si gettano per terra e pregano tra i sassi incuranti delle rocce, o delle acque ghiacciate di un torrente. Gente povera che trova il tempo per pregare, per prostrarsi con ancor piú profonda umiltà., per superare il dolore, per emendare le proprie colpe, per rinnovarsi, rinascere, raggiungere il Nirvana. Per questo compiono il Kora, il periplo del sacro monte Kailash.

I monaci  buddhisti sono a metà tra sherpa e missionari. E ancora donne, tibetani, nomadi con le loro sciarpe colorate, che paiono i fratelli dei peruviani di Machu Picchu o del lago Titicaca…

si incontrano ed accompagnano in un magico universo sovrastato dal blu cobalto del cielo, tra fiori insperati,  capanne in pietra e …laghi altissimi, aride steppe e  sabbie… e ghiacciai.

Ma anche i soldati , cinesi armati a guardia di passi e di territori che un tempo non erano loro… .

 IL VENTO sopra di noi, sopra di loro, il rigido vento che spazza l’altopiano, porta al cielo le preghiere degli uomini, scritte su mille bandierine colorate che ornano i gompa, o segnano   gigantesche tele di ragno alla festa annuale del Saga Dawa intorno al Tarboche.

Qui siamo al cospetto degli dèi.

Al campo approntato alla sera è tutto un ciarlare di voci, di canti, un intrecciarsi di profumi di cibi, di yak, di legna, di fumo che salgono al cielo, mentre il Kailash rimanda gli ultimi raggi di sole e giunge il freddo, sovrano e pungente. 

Ombre di Luce,    Fiori di Terra,    Fiori di Pietra  portano seco il segreto dell’Himalaya.

Kailash è il monte sacro, l’Ombelico del Mondo, Manarosarovar, ai suoi piedi,  il grande Lago della Mente. Tra steppe e sterrate piste si raggiungono monasteri arroccati e solitari Gompa 

Passare il Drolma-la è rinascere a nuova vita…E tutti lasciano a terra qualcosa di proprio: una sciarpa, una ciocca di capelli, un dente… Gettata ogni zavorra l’animo è finalmente libero di abbracciare l’infinito

 La Kora, il pellegrinaggio attorno al monte sacro, perché il Monte Kailash lo si aggira, lo si abbraccia con un lungo pellegrinaggio…Non lo si scala, non lo si víola. Se ne indovina la sacralità .

 Bandiere colorate portano nel cielo -grazie al vento- le preghiere degli uomini.

Nel vento rabbioso raddoppiano le genuflessioni e le preghiere dei credenti:

«Inginocchiati là dove tutti hanno pregato. Là è presente Iddio”. Anche se l’idea di un Dio creatore e salvifico non rientra nella filosofia religiosa dei buddhisti, una commozione profonda pervade ogni essere a qualunque fede o credo esso appartenga. 

Raggiungiamo poi  monasteri che, come segreti  scrigni  riccamente ornati con fiori e colori vivaci e potenti, propongono divinità dall’aspetto terribile (le cosiddette “divinità irate”) e altre di straordinaria dolcezza. Anche qui, da sempre, il Bene e il Male. E ancora sparuti monaci e case e templi. Città di sabbia e fango, rimaste in piedi dopo i soldati. Gli uomini hanno distrutto le statue ma i templi sono lí, incredibili testimoni di tanta arte, spiritualità, preghiera.

E’ Zaparan, la Città di Fango, nel vecchio Regno di Guge, una città che la pioggia può sciogliere, ai piedi di una montagna che potrebbe crollarti in testa  mentre ti arrampichi  e pensi che  sotto di te le tue mani, i tuoi piedi affondano nella stessa sabbia.

Sarà la magia dei Khorlo, i mulinelli di preghiera grandi come tamburi, capaci di macinare o di stregare il tempo a tenerla in piedi? O sono le divinità che in questi monasteri hanno trovato rifugio e fermato il tempo?

Muretti di pietre addossate e dipinte ripetono lo stesso mantra OM MANI PADME OM –o leggiadro gioiello incastonato nel loto– “OM”: la vibrazione s’innalza a superarne il senso. Da lí nasce la preghiera, che è, poi, preghiera a se stessi, alla propria energia mentale, non a un dio esterno a noi, duale, che per quella cultura non è concepibile, non esiste!

 Al ritorno attraversiamo verdi vallate che i cinesi forse hanno dimenticato, con case e tetti tibetani, tra coltivazioni di orzo e patate. Stiamo scendendo verso il confine; tra poco il chiasso e il traffico di Katmandu ci avvolgeranno, precipitandoci di nuovo nel presente.

Sentiamo il cuore, però, rimanere lassú, in alto, nel silenzio a sventolare con le bandierine di preghiera nel cielo, nel vento. Il suo ricordo sarà il rifugio nei giorni chiassosi della vita quotidiana. Ecco, ora è il tempo, per cominciare il grande viaggio… dentro.

Il documentario di Eugenio Andrighetto sarà in proiezione dal 18 dicembre 2004 in poi

Cinzia Scarpini

      

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